
A marzo i mercati obbligazionari erano già in fermento per i dazi, poiché l'amministrazione Trump aveva applicato le misure precedentemente ritardate nei confronti di Canada, Messico e Cina. Ancora più importante per i mercati globali, gli investitori hanno iniziato a concentrarsi sul 2 aprile, il "Liberation day" come chiamato da Donald Trump, giorno in cui i dazi reciproci sono stati annunciati. Anche prima dell'annuncio effettivo, gli investitori hanno mostrato preoccupazione per un calo della crescita globale. Gli asset rischiosi avevano già iniziato a esibire segni di debolezza e gli spread del credito si erano ampliati. Al contrario, i tassi dell'Eurozona sono inizialmente saliti di quasi 50 punti base, per poi scendere dai massimi raggiunti dopo la notizia di investimenti infrastrutturali e nella difesa per 1.000 miliardi da parte della Germania, poiché i timori per la crescita hanno iniziato a prendere il sopravvento rispetto a un aumento dell'offerta.
L'annuncio dei dazi del 2 aprile ha sconvolto la maggior parte degli investitori sia per la loro entità che per la loro apparente casualità, che l'amministrazione Trump ha spiegato dovuta alla presa in considerazione di "tutte le barriere commerciali", compresa, ad esempio, l'imposta sul valore aggiunto. I mercati azionari hanno perso terreno a livello globale e gli spread del credito, in particolare quelli High Yield, si sono notevolmente ampliati. La reazione dei mercati dei tassi è stata più insolita. I tassi dell'Eurozona avevano già messo a segno un rally in previsione di tali misure e hanno continuato a farlo, soprattutto nel segmento a breve della curva, anticipando essenzialmente le aspettative sulla tempistica dei tagli da parte della BCE. Negli Stati Uniti si è osservata una breve flessione per i rendimenti dei Treasury, ma in seguito il debito pubblico statunitense è stato oggetto di un sell-off. Le curve si sono irripidite ovunque.
Cosa sta succedendo nel mercato dei Treasury?
I Treasury USA hanno vissuto la peggiore settimana dal 2019. Gli investitori sono di fronte a un enigma, con qualche indizio ma nessuna risposta definitiva. Gli asset statunitensi sono stati vittima di un sell-off generalizzato, che ha interessato il dollaro, i Treasury e gli asset rischiosi come il credito e le azioni. In particolare, perché il dollaro e i Treasury, due presunti "beni rifugio", non si sono ripresi mentre gli asset rischiosi venivano venduti? Le spiegazioni comunemente proposte includono la liquidazione di posizioni sul Treasury per far fronte alle margin call, le chiusure di operazioni su future e la vendita da parte dei detentori cinesi come ritorsione, o forse solo altri investitori che si posizionavano in anticipo su un possibile sell-off cinese. Con ogni probabilità, si tratta di una combinazione di questi e altri fattori. È anche opportuno concentrarsi su quella che, verosimilmente, non è finora tra le spiegazioni proposte: le aspettative inflazionistiche. Infatti, i break-even dell'inflazione, ovvero la differenza tra i rendimenti dei Treasury nominali e di quelli protetti dall'inflazione, sono diminuiti. Poiché simili aumenti dei dazi non si erano mai verificati in passato, è difficile valutare il loro impatto sull'inflazione, ma riteniamo che l’effetto sarà inflazionistico, almeno sul breve termine. Anche le attese dei consumatori suggeriscono un'inflazione più sostenuta. I break-even dell'inflazione presentano lo stesso andamento di un asset rischioso: scendono e salgono insieme alle azioni e al petrolio. L'assenza di una spiegazione chiara e adatta alle aspettative comuni sul comportamento del mercato obbligazionario lascia molto spazio alle speculazioni sul fatto che il debito pubblico statunitense stia perdendo il suo status di bene rifugio. Al momento, riteniamo che sia prematuro fare una previsione del genere, ma gli sviluppi richiedono grande attenzione e preferiamo un approccio molto prudente e tattico finché persisterà questa incertezza.
Acquistiamo duration date le prospettive incerte dell'Eurozona
Nell'Eurozona il quadro è molto meno ambiguo. Per la regione, il nostro scenario di base era già quello di una crescita debole accompagnata da disinflazione. I dazi hanno chiaramente esercitato un'ulteriore pressione al ribasso sulla crescita e l'inflazione. Le pressioni deflazionistiche sono il frutto non solo di un'economia e una domanda più deboli, ma anche di una svalutazione del dollaro. In genere, un calo dell'euro rispetto al dollaro sarebbe una reazione più consueta del mercato. Infine, dazi statunitensi molto elevati potrebbero indurre altri esportatori a cercare di invadere nuovi mercati di consumo, spingendo ulteriormente verso il basso i prezzi. Abbiamo quindi aumentato il nostro orientamento long sui tassi dell'Eurozona. Al momento, i rendimenti sono ancora superiori ai livelli osservati prima dell'annuncio degli stimoli fiscali tedeschi. Riteniamo che il mercato obbligazionario non abbia ancora scontato sufficientemente i rischi di recessione lungo tutta la curva. Si è già verificato un ulteriore repricing nel segmento a brevissimo termine e abbiamo quindi deciso di rafforzare l'esposizione alla scadenza a 5 anni.
I tassi in euro possono essere ulteriormente sostenuti dal relative value. I rendimenti dei Bund sono ora considerevolmente più alti di quelli dei Treasury coperti in euro, dato il differenziale di tasso d'interesse significativamente più ampio tra Stati Uniti ed Europa nel segmento a breve rispetto a quello a lungo termine. La curva dei rendimenti in Europa è ora molto più ripida che negli Stati Uniti, in parte a causa di un incremento del premio a termine.
Nell'ottica di posizionare i nostri portafogli per uno scenario di crescita più contenuta, preferiamo ridurre l'esposizione ai paesi non-core a favore degli omologhi core. Di conseguenza, abbiamo ridotto il sovrappeso sulla Spagna e siamo sottopesati sull'Italia. In un contesto di avversione al rischio, ci aspettiamo che la Germania ne tragga il massimo beneficio. In sostanza, continuiamo a considerare la Spagna un emittente solido ma, in caso di flight to quality, il sentiment degli investitori determinerà verosimilmente un rally delle obbligazioni spagnole inferiore a quello delle omologhe tedesche.
Il credito è già stato oggetto di repricing, ma preferiamo restare prudenti
Abbiamo declassato di mezzo punto il rating sia dell'Investment Grade (IG) che dell'High Yield (HY), dato il significativo aumento del rischio di un ulteriore ampliamento degli spread in entrambi i settori. Al momento, c'è un ritardo tra i mercati High Yield europei e statunitensi, che li rende molto simili in termini di spread. Continuiamo a privilegiare le obbligazioni Investment Grade poiché, con gli investitori intenti a ridurre il rischio, i deflussi in questo segmento dovrebbero rivelarsi più limitati.
Riguardo alle obbligazioni Additional Tier 1 (AT1), consigliamo un approccio più cauto, poiché questa asset class può essere piuttosto volatile. In termini di settori, ci concentriamo su operatori locali e società nazionali, con l'obiettivo di evitare gli esportatori e di puntare invece sui settori difensivi.
Quanto ai livelli di spread, vediamo prospettive più favorevoli per le obbligazioni Investment Grade, a spread compresi tra 140 e 150 punti base (pb). Nell'High Yield, un range più vantaggioso spazierebbe tra 500 e 600 pb. Sul breve termine, tendiamo a favorire marginalmente le obbligazioni High Yield e il credito europei, poiché prevediamo che l'impatto negativo sui fondamentali sarà maggiore per le società e i consumatori statunitensi, con una conseguente probabile sovraperformance del credito europeo.
Nel debito dei mercati emergenti preferiamo i tassi locali
All'annuncio dei dazi, gli spread erano estremamente contenuti e in precedenza avevamo assunto una visione molto negativa sulle valutazioni. Da allora si è osservato un forte ampliamento. Ora siamo vicini a 400 punti base (pb), un livello al quale l’asset class è tradizionalmente considerata interessante. Pertanto, le prospettive sono ora più neutrali e favorevoli per le valutazioni future. D'altro canto, naturalmente, anche il quadro fondamentale per i paesi emergenti risulta più complesso, soprattutto per quelli con un'ampia esposizione agli Stati Uniti. Detto questo, se il dollaro USA dovesse restare debole, la situazione potrebbe in parte migliorare.
Tuttavia, per il debito in valuta locale, un'inflazione in discesa rappresenta un aspetto positivo, in quanto rende possibili tagli dei tassi. Sul fronte dei tassi in valuta locale, le banche centrali hanno sicuramente margini di manovra per procedere a un allentamento, alla luce soprattutto del calo dei tassi statunitensi, poiché alcune economie potrebbero aver bisogno di tale impulso. Un altro fattore positivo per i tassi locali è la congiuntura in Cina. Se il paese resta debole e immette capacità inutilizzata sui mercati globali, la domanda potrebbe crollare. A nostro avviso, le valute dei mercati emergenti dovrebbero comportarsi meglio con un dollaro più fiacco, ma restiamo attenti a un possibile ritorno del dollaro come valuta preferita in una situazione “risk-off”.
In ogni caso, riteniamo che i dazi creeranno probabilmente opportunità idiosincratiche. Alcuni emittenti, soprattutto in Asia, sono molto vulnerabili. Anche altri paesi potrebbero cercare di sfruttare la situazione, portando a una riallocazione della capacità economica tra i mercati emergenti.
Le valute risk-off possono continuare a sovraperformare
Sul mercato dei cambi, ci siamo posizionati long sullo yen giapponese contro l'euro e la sterlina. La decisione di andare short sulla sterlina britannica si basa sull'osservazione che il posizionamento è piuttosto long e ci aspettiamo che la Banca d'Inghilterra (BoE) tagli i tassi più di quanto il mercato stia attualmente scontando.
Le valute rifugio, come lo yen giapponese e il franco svizzero, si stanno comportando bene. Tuttavia, il posizionamento complessivo sullo yen è long, un aspetto da monitorare attentamente.