Una significativa rivalutazione delle aspettative di politica monetaria

L'ultimo mese del 2024 si è rivelato difficile. La maggior parte dei principali mercati dei tassi ha perso terreno, con il decennale statunitense in ascesa di 40 punti base. Al contempo, anche gli asset rischiosi hanno incontrato difficoltà. Lo spettacolare rally dell'indice S&P 500 del 2024, si è fermato a dicembre e, analogamente, anche gli spread del credito high yield statunitense si sono ampliati. Tuttavia, alcune componenti del mercato hanno resistito: gli spread dell'investment grade statunitense si sono mantenuti stabili, mentre i premi al rischio dell'investment grade in euro, dell'high yield in euro e del debito dei mercati emergenti sono diminuiti.

Questa svolta, sul fronte della domanda degli investitori per i tassi privi di rischio, è stata determinata da una significativa rivalutazione delle aspettative di politica monetaria. La dinamica rialzista ha interessato in larga misura i rendimenti reali, ossia quelli dei titoli di Stato USA protetti dall'inflazione. I mercati hanno optato per una visione più "hawkish" delle intenzioni della Fed.

Tuttavia, il 2024 ci ricorda che siamo usciti da un contesto segnato da tassi di interesse estremamente bassi. I rendimenti medi lungo la curva dei Treasury statunitensi hanno chiuso l'anno circa 20 punti base sopra i valori di dodici mesi fa[1],  offrendo, comunque, un rendimento totale positivo agli investitori. A questi livelli, è bene rammentare che il carry delle cedole può rappresentare un'autentica protezione contro la volatilità dei tassi, soprattutto nei segmenti di mercato a più alto rendimento.

Le valutazioni dei Treasury sono migliorate, ma c'è troppa incertezza per essere ottimisti

Dopo la correzione di dicembre, proseguita anche a gennaio, le valutazioni appaiono, ad ora decisamente positive nel nostro quadro di riferimento. Detto questo, la crescita, l'inflazione e, in ultima analisi, le prospettive monetarie non giustificano al momento un outlook positivo. I nostri modelli indicano una probabilità di reflazione dell'80% e suggeriscono che lo scenario più probabile non sarà più quello disinflazionistico. Ultimamente, l'inflazione "super-core" mostra scarsi movimenti al ribasso e si prospettano due possibili esiti, a seconda delle politiche che il presidente Trump intende effettivamente attuare: un "caso base" di reflazione modesta e un "caso di rischio" con una forte ripresa dell'inflazione.

Inoltre, la crescita si conferma robusta e la lieve correzione del mercato del lavoro sembra essersi stabilizzata. La spesa al consumo è solida, nonostante il tasso di risparmio personale sia aumentato. L'unico possibile segnale di allarme precoce da monitorare con attenzione è l'incremento degli arretrati delle carte di credito.

I mercati prevedono un singolo taglio della Fed entro la fine dell'anno e riteniamo molto concreta la possibilità che scontino uno scenario senza tagli.

Sebbene il calo di dicembre sia stato determinato dalla percezione di una Fed più aggressiva, a gennaio il ribasso è proseguito e il divario tra i titoli di Stato protetti dall'inflazione e quelli nominali si è ampliato. Questo dimostra che gli investitori sono sempre più preoccupati per gli effetti diretti sull'inflazione delle politiche di Trump.

Gilt e sterlina: nessuno scenario Truss 2.0 all'orizzonte, ma la fiducia del mercato vacilla

Il rialzo dei rendimenti dei Gilt ha avuto grande risalto sulla stampa, inducendo alcuni osservatori a chiedersi, forse in malafede, se il Regno Unito fosse alle prese con "una disfatta simile a quella avvenuta con Liz Truss". La differenza, tuttavia, è piuttosto evidente: nel corso dell'ultimo mese i rendimenti dei titoli di Stato britannici sono aumentati di un importo simile a quello dei loro omologhi tedeschi e sono influenzati dalle oscillazioni dei tassi globali anziché da un evento idiosincratico nel Regno Unito. Dato però il limitato margine di manovra per il governo britannico, a fronte delle proprie norme fiscali, e considerato l'ampio disavanzo delle partite correnti, con il mercato dei Gilt esposto alla "gentilezza degli stranieri", è lecito concentrarsi sulle eventuali ripercussioni.

Pertanto, riguardo ai tassi britannici, siamo tornati alla neutralità, aprendo al contempo una posizione short sulla sterlina. Continuiamo essenzialmente a ritenere che le aspettative per il tasso terminale (oltre il 4%) siano troppo elevate rispetto ad altre economie del G10, ma riconosciamo che il mercato non si è allineato a questa visione. I timori fiscali sembrano invece essere al primo posto tra le preoccupazioni degli investitori, in particolare di quelli non nazionali, che soddisfano circa il 30% del fabbisogno finanziario britannico.

La sterlina è stata finora sostenuta dai differenziali dei tassi, ma con le difficoltà fiscali alla ribalta e la nostra convinzione di tassi terminali più contenuti, riteniamo che vi siano molteplici scenari che potrebbero comportare una sottoperformance della valuta. Pertanto, abbiamo introdotto una posizione short.

Tassi in euro: restiamo ottimisti nonostante alcuni rischi per l'inflazione primaria

L'Eurozona è afflitta da una crescita molto debole, con pochi spiragli di luce. La BCE ha inoltre rivisto lievemente al ribasso le sue stime sulla crescita e l'inflazione per il 2025 e il 2026. Riguardo al ciclo inflazionistico, vi sono alcuni rischi per l'inflazione primaria dovuti ai prezzi energetici e un euro più fragile rispetto al dollaro.Però, l'inflazione core, sebbene ancora ampiamente superiore all'obiettivo al 2,7%, dovrebbe calare nei mesi a venire. Il trend disinflazionistico è più saldo nell'Eurozona che negli Stati Uniti, non da ultimo grazie a contrattazioni salariali a più lungo termine in vari settori. Continuiamo ad aspettarci un approccio progressivo della banca centrale, con l’incontro di marzo particolarmente importante, dopo che si conosceranno le prime mosse dell'amministrazione statunitense e l'esito delle elezioni tedesche.

Oltre al rischio sul fronte del "beta", ascrivibile a una possibile volatilità sul rialzo dei tassi, consideriamo le dinamiche della domanda e dell'offerta come un fattore di rischio per i titoli di Stato europei, con una pipeline molto consistente in arrivo sul mercato per soddisfare il fabbisogno di tesoreria. Detto questo, rileviamo anche i primi segnali di un interesse concreto per queste emissioni, con le recenti operazioni in Italia e Belgio rivelatesi di grande successo.

Da una prospettiva nazionale, abbiamo tagliato il sottopeso sulla Francia ai livelli di spread del Bund superiori a 80 punti base e, con una relativa stabilità politica sul breve termine, il rischio di un ulteriore ampliamento significativo è più limitato. Tuttavia, il prezzo di un'eventuale stabilità politica potrebbe essere un ulteriore deterioramento della situazione fiscale, per cui è necessario prestare molta attenzione. Continuiamo a preferire la Spagna, per la quale intravediamo una ripresa dei rendimenti (anche se inferiore alla Francia) oltre a essere l'unica grande economia dell'Eurozona con una crescita sostenuta.

Sul fronte dei tassi europei, esclusa l'Eurozona, Norvegia e Repubblica Ceca offrono valore

In Norvegia la banca centrale è in ritardo nel ciclo di tagli rispetto alle sue omologhe, mentre la Riksbank svedese è prossima a concluderlo, invece la BCE procede con costanza. La Norvegia, è nelle fasi iniziali del processo, poiché i timori di accentuare la debolezza della corona hanno in passato frenato la Norges Bank. Con la stabilizzazione della NOK, l'istituto può ora allentare la politica monetaria. Il tasso terminale atteso dal mercato è probabilmente eccessivo (3,75%) e, a differenza del Regno Unito, la sfera fiscale non desta alcuna preoccupazione in Norvegia.

In Repubblica Ceca, come in Norvegia, i tagli dei tassi sono sottostimati rispetto all'Eurozona, in un'economia molto legata alla Germania e che quindi continuerà a soffrire a causa della debole crescita tedesca. Anche in questo caso, il quadro fiscale non è particolarmente allarmante.

La contrazione degli spread e i rendimenti dei Treasury statunitensi in ascesa mettono sotto pressione il debito dei mercati emergenti

Lo scorso mese abbiamo rivisto al ribasso le nostre prospettive sul debito dei mercati emergenti in valuta forte, alla luce di spread ridotti e crescenti rendimenti dei Treasury statunitensi. Tuttavia, gli spread hanno proseguito la loro discesa, anche più di quanto previsto. Questa tendenza è evidente anche nei corporate emergenti, i cui spread sono diminuiti sia nel segmento Investment Grade (IG) che in quello High Yield (HY). Proprio questi spread contenuti sono il principale motivo per mantenere una posizione negativa sul debito dei mercati emergenti. Gli spread sovrani, escluso il mercato con rating CCC, si attestano a circa due deviazioni standard al di sotto delle medie storiche. Di conseguenza, le loro valutazioni sono costose rispetto al credito statunitense, anch'esso a livelli storicamente contratti, scoraggiando gli acquisti.

Riguardo ai corporate emergenti, la continua contrazione degli spread sia IG che HY ha ulteriormente innalzato le valutazioni, allineandole ai valori del credito statunitense.

Sul fronte dei tassi locali, gli spread rispetto ai Treasury statunitensi hanno continuato a scendere, mentre le valute emergenti hanno sottoperformato rispetto al dollaro USA. I rendimenti cinesi sono costantemente diminuiti, pesando ancora sull'outlook generale. Data l'attuale solidità del dollaro USA e considerando il ridotto spread di rendimento rispetto ai Treasury statunitensi, siamo neutrali.

Pur mantenendo una posizione neutrale sui rendimenti USA, l'ascesa dei rendimenti dei Treasury statunitensi e del dollaro crea, in genere, un contesto difficile per i mercati emergenti. Inoltre, i flussi verso i mercati emergenti si sono rivelati leggermente negativi, in contrasto con le aspettative di afflussi. Questo quadro differisce dal credito corporate dei mercati sviluppati, che ha esibito afflussi più stabili.

Cina e Giappone: questa volta è davvero diverso?

I rendimenti dei titoli di Stato cinesi hanno proseguito la loro inesorabile discesa, poiché i mercati non hanno creduto agli sforzi del governo per stimolare l'economia. In prospettiva, ci aspettiamo che la Reserve Bank dia priorità alla stabilità della valuta. L'istituto ha inoltre sospeso gli acquisti di obbligazioni per arrestare il declino dei relativi rendimenti, scesi a livelli tali da preoccupare verosimilmente la banca centrale. La politica monetaria è risultata insufficiente e i veri stimoli economici dovranno provenire dal fronte fiscale.

In Giappone gli stipendi continuano a crescere e l'inflazione core è aumentata. La BOJ dovrebbe procedere a ulteriori rialzi, ma il mercato è ancora titubante e si chiede se "questa volta sarà davvero diverso". In un contesto globale dove le altre banche centrali tagliano i tassi, la BOJ ha maggiori margini di manovra e riteniamo che possa essere più aggressiva.

Il credito High Yield è molto richiesto

Per quanto riguarda il credito investment grade in euro, abbiamo aggiornato il nostro giudizio da neutrale a +0,5. Il trend dei rating continua ad essere solido, le società presentano ancora bilanci solidi, in particolare le banche. Anche la domanda e l'offerta dovrebbero rivelarsi favorevoli. Il beta dei gestori investment grade, ossia il livello di rischio che assumono nei propri fondi, permane basso, lasciando intravedere un potenziale per ulteriori flussi. Se da un lato l'offerta è stata abbondante, dall'altro l'interesse degli investitori è risultato molto alto, con la liquidità disponibile utilizzata per entrare in questa asset class. Finché l'Eurozona manterrà una crescita debole, che eserciterà pressioni al ribasso sui rendimenti, evitando però una recessione conclamata, il credito IG dovrebbe restare molto ben supportato.

Tuttavia, per quanto riguarda l'HY in euro, abbiamo rivisto al ribasso la nostra visione originariamente neutrale. La ripresa dei rendimenti rispetto al credito investment grade appare semplicemente troppo esigua per giustificare l'assunzione di un rischio aggiuntivo. I fondamentali sono discreti, ma la remunerazione non è sufficiente data la maggiore sensibilità della asset class a ulteriori flussi di notizie negative.

Gli spread del credito USA sembrano essersi stabilizzati a livelli molto elevati. I fondamentali, tuttavia, permangono robusti e le prospettive macroeconomiche dovrebbero continuare a essere favorevoli per gli emittenti. Pertanto, manteniamo un giudizio neutrale sul credito investment grade, mentre presentiamo un sottopeso sull'high yield.  Quest’ultimo è più vulnerabile al rischio di eventi e il suo premio al rischio aggiuntivo, rispetto al credito investment grade, è particolarmente contenuto, una situazione molto simile a quella del credito corporate in euro.

 

[1] Indice ICE BofA All Maturity US Government.

Ricerca rapida

Ottenere informazioni più velocemente con un solo clic

Ricevi approfondimenti direttamente nella tua casella di posta elettronica