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Le politiche di Donald Trump potrebbero aumentare l’inflazione, ampliare il divario tra i tassi statunitensi ed europei e rafforzare il dollaro. Un vero paradosso per il futuro Presidente.
Mentre la disinflazione continua e la Federal Reserve (Fed) inizia ad allentare la propria politica monetaria, l’elezione di Donald Trump rischia di alterare la traiettoria dell’economia americana. Sebbene permangano incertezze sulle misure che effettivamente attuerà, e le relative tempistiche, la direzione generale delle proposte di Donald Trump sembra chiara: probabilmente amplieranno il differenziale dei tassi d’interesse tra Stati Uniti e Europa, rafforzando il dollaro.
Trump: un cocktail inflazionistico
Già nel 2016 i mercati obbligazionari reagirono rapidamente all'inaspettata elezione di Donald Trump. Nel giro di poche settimane, i rendimenti a lungo termine americani passarono, da meno del 2% a più del 2,5%, un movimento rialzista che i tassi tedeschi avevano seguito solo parzialmente[1]. Il differenziale tra i tassi si è quindi ampliato da 180 a 240 punti base (pb). Dopo essersi ridotto nel 2017, questo differenziale è aumentato nuovamente, avvicinandosi a 280 pb nel 2018.
Otto anni dopo, con un effetto sorpresa ridotto, i mercati obbligazionari sembrano ripetere lo stesso schema. Questa volta, il divario tra i tassi americani e quelli tedeschi si era già ampliato ancor prima dell’elezione di Donald Trump... e da allora si è ampliato ulteriormente. Va detto che il “cocktail” economico proposto da Donald Trump è sufficiente a destabilizzare gli investitori obbligazionari. Gli ingredienti sono gli stessi del 2016: aumenti dei dazi doganali, tagli fiscali e controlli sull'immigrazione. Tuttavia, ciò che era stato introdotto in un contesto di crescita debole, inflazione moderata e politica monetaria accomodante, oggi presenta rischi maggiori. Soprattutto perché questa volta la miscela probabilmente sarà più forte:
- Minacce tariffarie ampliate: la minaccia dei dazi doganali non si estende più solo su alcuni prodotti cinesi, ma su tutte le importazioni dalla Cina e dal resto del mondo;
- Politiche migratorie più rigide: prevede ora di deportare diversi milioni di migranti arrivati sena documentazione, con il rischio di privare l'economia di una forza lavoro fondamentale, in un mercato del lavoro già ristretto;
- Minore flessibilità fiscale: un deficit previsto pari al 6,4% del PIL nel 2024, rispetto al 3,1% nel 2016, lascia poco spazio di manovra;
- Un'economia a pieno ritmo: a differenza del 2016, la crescita annua ha raggiunto il 2,7%, il tasso di disoccupazione supera a malapena il 4% e l’inflazione core[2], nonostante un notevole calo, è ancora a 3,3% (rispetto all'1,8%, al 5% e al 2,1% di otto anni prima).
Verso una divergenza duratura dei tassi...
Poiché i rischi di inflazione sono chiaramente in aumento, dovrebbero come minimo spingere la Federal Reserve a rallentare l'allentamento della sua politica monetaria.
Nella zona euro, al contrario, l’elezione di Donald Trump potrebbe incoraggiare la Banca Centrale Europea ad accelerare la riduzione dei tassi. In un contesto di crescita debole, una guerra commerciale con gli Stati Uniti rischierebbe infatti di spingere l’Eurozona sull’orlo della recessione.
Su entrambe le sponde dell’Atlantico, i mercati hanno già rivisto in modo significativo le loro aspettative sulle politiche monetarie. I tassi della Federal Reserve attesi per la fine del 2025 sono stati quindi rivisti dal 2,8% di metà settembre, al 3,6% alla vigilia delle elezioni, per superare il 3,9% tre settimane dopo. Allo stesso tempo, le aspettative sui tassi europei per la fine del 2025 sono scese di quasi 30 punti base dopo le elezioni, tornando al livello di metà settembre pari al1,8%. La divergenza è evidenziata dai movimenti sulla parte lunga della curva dei rendimenti, dove lo spread dei tassi a 10 anni tra gli Stati Uniti e l’Eurozona è aumentato di 30 pb, nel periodo tra le elzioni statunitensi del 5 Novembre e il 22 Novembre, superando i 200 punti base.
Agli occhi dei mercati, lo “ sweep ” repubblicano – il controllo della presidenza e della maggioranza sia alla Camera dei Rappresentati che al Senato da parte del partito di Donald Trump - – aumenta la probabilità dell'attuazione di un programma potenzialmente inflazionistico. Inoltre, anche se la proposta di nominare Scott Bessent come Treasury Secretary dovrebbe rassicurare i mercati sulle questioni fiscali, le nomine previste per altre posizioni chiave del futuro governo non sono rassicuranti, su un possibile approccio moderato dell’amministrazione. Questa incertezza sulle prospettive economiche e monetarie, combinata con l’aumento del premio per il rischio inflazionistico, potrebbe comportare un aumento del premio a scadenza sui tassi a lungo termine statunitensi.
Le aspettative del mercato riflettono già in parte le conseguenze dell'elezione di Donald Trump. Nei prossimi mesi, queste aspettative evolveranno in base alle misure adottate oltre l’Atlantico, il che potrebbe portare a periodi di volatilità. Tuttavia, la traiettoria su cui l’elezione di Donald Trump impegna le economie americana ed europea è chiara: è probabile che l’ampio differenziale tra tra i tassi americani ed europei sia mantenuto. Il differenziale tra le curve dei rendimenti potrebbe addirittura ampliarsi ulteriormente, se la nuova amministrazione americana mettesse in atto la maggior parte delle promesse elettorali di Donald Trump.
...e un dollaro forte, più a lungo
Mentre Donald Trump vorrrebbe un dollaro più debole, la traiettoria su cui sembra voler condurre l’economia americana è più probabile che lo rafforzi. Gli aggiustamenti nelle aspettative di politica monetaria hanno già giocato a favore della valuta americana, che si è apprezzata di quasi il 5% contro l'euro nelle tre settimane successive all'elezione di Trump, proseguendo una tendenza iniziata già prima del voto del 5 novembre.
Anche la politica fiscale potrebbe sostenere il dollaro. Misure come l'estensione dei tagli fiscali per le famiglie o la riduzione delle tasse sulle imprese, rafforzando l’“eccezionalismo” americano, potrebbero fornire ulteriore supporto al dollaro americano, almeno nel breve termine. Tuttavia, l'incertezza sulle misure della nuova amministrazione potrebbe creare volatilità a breve termine per la valuta.
I potenziali sviluppi della politica fiscale nella zona euro potrebbero, tuttavia attenuare o addirittura invertire, l’evoluzione tra le due valute. In Germania, ad esempio, l’esito delle elezioni del febbraio 2025 potrebbe portare a un cambiamento della rotta nella politica fiscale, con misure a sostegno dell’attività economica. Ciò aumenterebbe il volume delle emissioni obbligazionarie, esercitando pressioni al rialzo sui tassi tedeschi, contribuendo così all’apprezzamento dell’euro.
Le conseguenze delle elezioni americane sui mercati obbligazionari e valutari sono evidenti. Costituiscono tuttavia un paradosso per il futuro Presidente. Con una politica monetaria più restrittiva del previsto, tassi di interesse più alti e un dollaro più forte, il programma proposto da Donald Trump durante la sua campagna elettorale entra in contraddizione con il suo desiderio di voler beneficiare dei bassi tassi di interesse e di un dollaro debole. Il prossimo inquilino della Casa Bianca non ha quindi finito di lottare contro gli effetti della propria politica economica. Abbastanza per renderlo ancora più imprevedibile e riaccendere le tensioni con coloro che definisce gli "idioti" della Fed[3].
Prezzi e calcoli aggiornati al 22 novembre 2024.
[1] I dati citati nell'articolo, ad eccezione di quelli nel grafico, provengono da Bloomberg.
[2] Inflazione corretta per i prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari.
[3] Nel settembre 2019, Donald Trump ha attaccato violentemente i funzionari della Fed su Twitter, che ha definito " boneheads " in inglese, accusandoli di non seguire il movimento dei tassi di interesse ultra-bassi, addirittura negativi, in altre parti del paese il mondo: https://www.reuters.com/article/world/uk/note-to-trump-negative-rates-have-delivered-few-positive-results-idUSKCN1VW2R7/
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